mercoledì 2 marzo 2011

IL GUSTO DELLA VISTA

È cucina - mania. Clerici e Parodi docet: se la crisi impazza ci si consola con il cibo. Al bando, dunque, i tradizionali siti porno. Donne e uomini ignudi non fanno più gola… molto meglio sbavare – letteralmente – su immagini di cibarie succulente: è la “pornografia culinaria”. Non è illegale e non fa diventar ciechi!


“Nessun amore è più sincero dell'amore per il cibo” (George Bernard Shaw, scrittore e Nobel per la letteratura nel 1925). E pare che lo abbiano proprio capito in molti dal momento che una delle ultime, bizzarre, tendenze a spopolare in rete sembra essere quella della contemplazione in chiave eccitativa di immagini culinarie. Si chiama “food porn” - nasce in Giappone, trionfa negli States - e «non ha nulla a che fare con il sesso», tuonano i bloggers – seguaci – golosoni, dall’alto dei loro siti, in cui trascorrono nottate intere a scambiarsi foto di cibi elaborati, dalla mise en plat a dir poco spettacolare. Nessuna donna nuda, seni, fondoschiena ma solo cosce di pollo grondanti di salse, profiteroles avvolti da cascate di cioccolato, insalate multicolore… prelibatezze che solo a pensarle fanno venire l’acquolina in bocca! E basta. Perché regola fondamentale di ogni food pornographer che si rispetti è “guardare e non toccare”, altrimenti che sublimazione sarebbe?
In tutto ciò di pornografico c’è soltanto il gusto voyeuristico suscitato dal cibo il quale possiede, di per sé, un forte simbolismo sessuale (si pensi allo sgocciolamento di certe creme o salse e alla forma fallica di determinati alimenti) che viene accentuato dalla sua presentazione ed esasperato in questo genere di fotografie sensualmente evocative. Tali da creare una vera e propria dipendenza in chi le guarda. Di fatto i food pornographer, esattamente come qualsiasi altra categoria di pornografi, sono ossessivi. Si suddividono in appassionati del genere classico, hardcore, amatoriale, e fortunatamente per loro, reperire immagini di prelibatezze cucinate ad arte non è né illegale, né particolarmente complicato: si possono tranquillamente cliccare siti come www.foodporndaily.com o www.tastespotting.com, sfogliare dei semplici libri di cucina, oppure digitare “food porn” nella ricerca gruppi di facebook per trovarne circa 400, molti dei quali di matrice spiccatamente sessuale. E sì! Perché va bene tutto, ma anche se rapportato in maniera casta alle cibarie, il piacere è sempre piacere. Lo spiega il professor Alessandro Meluzzi, psichiatra: «bèh, senza attardarci nell’analisi freudiana della fase orale, della fase anale e della fase genitale, è fuori di dubbio che i meccanismi della pulsionalità si basano sul legame orale tra il riflesso di suzione dell’allattamento e le esperienze precoci di nutrizione, per cui l’apparato pulsionale sensoriale dell’umano è ”incagliato” sul tema del rapporto con il cibo. E di fatto gli alimenti rappresentano una delle principali forme di attivazione delle emozioni umane, dal momento che tutto ciò che è cibo è anche immagine visiva, olfattiva, tattile: l’arte della cucina chiama in causa la sensorialità a 360° e non stupisce che il cibo possa diventare non soltanto afrodisiaco, erotizzante, pulsionalmente significativo, ma anche uno degli emblemi dell’eros. Per quanto riguarda invece l’ossessività della maggior parte dei food pornographer la spiegazione va ricercata nella ritualizzazione: quando l’oggetto prevale sul soggetto e quando c’è una reificazione dell’oggetto, quest’ultimo diventa ossessione, idolo, feticcio appunto. In un rapporto normale la pulsione e la sensualità dovrebbe essere costruita come chiave della relazione intersoggettiva, ma se invece dell’intersoggettività (il rapporto tra due esseri animati) c’è l’erotizzazione di un oggetto inanimato, in questo caso il cibo, il legame ha  qualcosa di patologico e disumanizzante».
Da qui a fare del nyotaimori (body sushi, la cosiddetta “donna piatto”) e del playtime platters (body sushi in versione maschile), le altre due mode del momento, il passo è davvero breve e la spiegazione più che ovvia… ma questa è tutta un’altra storia!

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